Favole della dittatura Vedi a schermo intero

Favole della dittatura

Bardi


40867

Sciascia Leonardo (1921-1989)

Favole della dittatura

Prima edizione

Roma

Bardi

1950

175x125 mm

35





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Di questa edizione a cura di Mario Dell'Arco sono stati stampati 222 esemplari numerati da 1 a 222. Negli anni 50 avevo fatto pubblicare a mie spese duecento copie di un libricino di poesie, con favole esopiane, sul fascismo. Una per pagina, si chiamava Le favole della dittatura, è un libro che non ho più neppure io. Un mio amico lo dette a Pasolini e lui scrisse un articolo che era più lungo del libro stesso. Di lì nacque il nostro rapporto» (cit. in Squillacioti). -- Lopera prima di Leonardo Sciascia nasce dal rapporto con un grande personaggio della Roma degli anni 50 e 60, l'architetto e poeta dialettale romanesco Mario Fagiolo, rinominatosi dell'Arco (padre del critico d'arte Maurizio). Sciascia è affascinato dall'idea di pubblicare con l'«editore che ha stampato Tilgher», e dell'Arco è specializzato in piccole e raffinate placchette, stampate in non più di duecento esemplari. Nelle glosse al testo ripubblicato con acribia filologica da Paolo Squillacioti, leggiamo il dipanarsi del progetto, nell'estate del 1950: dell'Arco finisce per scegliere una carta «di lusso ... carta a mano di Fabriano», per non sminuire il libretto, che è molto scarno; l'autore pagherà le spese di stampa. Qualche anno dopo, in una lettera a Daniele Ponchiroli, Sciascia confesserà che «gli errori tipografici sono la mia ossessione»: ed è quello che emerge anche dagli ultimi scampoli di corrispondenza, prima che l'opera veda la luce, ai primi di ottobre, rendendo comunque l'autore molto soddisfatto. Un nucleo di sei delle ventisette favole era già apparso su un quotidiano locale, «Sicilia del Popolo» (edizione siciliana del «Popolo», giornale della Democrazia Cristiana): l'opera era dunque già pronta da alcuni anni quando finalmente, grazie alle sapienti cure di dell'Arco, viene pubblicata, con pieno e sincero sollievo dell'esordiente Sciascia. Il libro suscitò tiepide reazioni al suo apparire, e presto venne dimenticato, «anche dall'autore», puntualizza Squillacioti. Del resto, del suo usus scribendi Sciascia ebbe a dire, tra le altre cose: «Un libro, una volta scritto (e precisamente dopo la correzione delle ultime bozze di stampa), non mi interessa più. È come se non lo avessi scritto io. [...] E del resto, perché dovrei pensare alla cosa già fatta, se voglio farne altre?». Tra le recensioni, molto favorevole quella di Pasolini ottimo amico e collaboratore di dell'Arco che segnerà linizio di una durevole e reciproca simpatia. All'oblio, rotto solo nei primi anni 80 (con la traduzione francese sull«Arc» n. 77, ottobre-dicembre 1979, seguita da un omaggio sul «Mattino» del 20 aprile 1980 e nello stesso anno dalla raffinata edizione fuori commercio stampata da Sellerio in soli 300 esemplari), ha sicuramente contribuito l'estrema rarità del volumetto originale, che lo pone nella più ristretta cerchia dei ricercati del Novecento italiano. Sciascia moriva nel 1989, ed era già un classico contemporaneo, un autore di cui pubblicare le «Opere» (a cura di Claude Ambroise, per Bompiani, tra 1987 e 1991, serie fortunata e più volte ristampata) e da ripubblicare integralmente (da Adelphi, presso cui, proprio in questi anni, escono di nuovo le «Opere» in una edizione di grande attenzione e sostanza). Sciascia, Opere I, cur. P. Squillacioti (Milano 2012)